Il Convento dei Cappuccini fu fondato nel novembre del 1607 da Padre Matteo da Corigliano e dedicato a San Giuseppe. Il luogo, denominato “Cava di Strugnile”, fu donato ai monaci da Maria Ravaschieri senza riserve di dominio. Fu lasciato in testamento da Don Carlo Ravaschieri, il quale volle che le sue ossa fossero trasportate nella Chiesa dopo compiuta. Donna Maria, sua sorella, eseguì in tutto la volontà del defunto. La Chiesa dei Cappuccini divenne da allora la tomba gentilizia dei principi di Belmonte. Nel 1637 fu seppellita la principessa Anna Caracciolo, la cui lapide in marmo verde è tuttora conservata ai Cappuccini. Il Convento rimase aperto dal 1608 al 1811, quando, alla discesa dei francesi, tutti i monaci furono cacciati dai Conventi. Mentre alcuni hanno usato tutti gli espedienti per ritornare a soppressione cessata, i frati di Belmonte furono impediti da cause esterne e contrarie alla loro volontà. Nel 1857 i Borboni, con l’appoggio del Vescovo di Tropea, ne permisero la riapertura e i monaci ampliarono la struttura investendo molti soldi, ma sfortunatamente la loro permanenza non fu di lunga durata. Nel 1873 la Chiesa fu donata alla Curia di Cosenza ed è gestita attualmente dalla Parrocchia di Belmonte, mentre tutto il Convento, con giardino annesso è proprietà privata. Nel chiostro, si affaccia un loggiato dalle essenziali colonne di tufo, mentre alle pareti si intravedono le antiche meridiane che stabilivano le ore della preghiera e del lavoro dei monaci. Una lapide in marmo verde, che è la pietra caratteristica di Belmonte, è la lapide della tomba della principessa Anna Caracciolo, moglie di Giovan Battista Ravaschieri. Il giardino a terrazzi, ancora oggi molto suggestivo, rappresentava la principale risorsa dei monaci che vi praticavano l’economia di tipo curtense: qui si produceva di tutto perché era favorevole l’esposizione, il clima, la natura del terreno con la presenza di acque sorgive. Oggi si possono ammirare i resti di colonne che segnavano i colonnati, due bellissime piante (l’aurucaria e la cikas), la fontanella e la vasca con i pesci. Caratteristiche sono le stalle, costruite dai primi monaci, oggi ristrutturate nel pieno rispetto dell’antica configurazione con le volte di canne intrecciate (oggi sede del locale “ I Cappuccini-ristoreventi”). La chiesa è stata costruita nella seconda metà dell’’800. E’ una graziosa costruzione in stile romanico, espressione anch’essa di arte povera. Oggi è di proprietà della parrocchia. All’interno è rustica, essenziale, bella. Si trovano delle lapidi in marmo che testimoniano la potenza del casato dei Ravaschieri. La piazzetta antistante ricorda eventi di storia delle tradizioni opolari, quando il giorno di San Giuseppe venivano distribuite le pagnottelle di granoturco e il giorno di Sant’Antonio le ragazze seguivano la processione cantando: Sant’ Antoniu miu benignu / Ca di grazie tu si’ dignu / Tantu brutta nun ci signu / Poca e dote puru tiegnu. La canzone invoca l’arrivo. Al Santo i contadini portavano i pignatielli di grasso di maiale, come rispetto per i prodotti della terra e giungevano in processione tra due ali di folla con i buoi infettucciati di rosso e con grandi tortani di pane infilati nelle corna dell’animale. Il tortano benedetto, simbolo del lavoro degli uomini e degli animali, veniva fatto a pezzetti e distribuito a parenti ed amici con l’augurio di solidarietà e salute. "Est tumulo princeps hoc Ana Caracciola clausa Cui pia mens vecta est Villico ad astra de Principis Horatii cura Est e amaeror et amor Dilectae uxorisqui Memoranda facit. 16 |